Alcuni dei capannisti sui Fiumi Uniti, 57 su 70 continuano a pagare l’occupazione del suolo pubblico, come è giusto che sia, ogni anno, ma ancora non hanno la concessione della Regione. “Come Pri da sempre siamo in prima linea sula difesa dei capanni da pesca, che rappresentano un valore storico e di testimonianza”. Dicono oggi Eugenio Fusignani e Giannantonio Mingozzi, candidati entrambi alle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre. L’attuale vicesindaco e capolista del Pri, Eugenio Fusignani, sottolinea: “I capanni da pesca non sono il risultato del moderno stile di vita, ma sono nati per esigenze di sopravvivenza (tuttavia possono rappresentare oggi un importante forma di mantenimento del legame con il territorio, anche per le nuove generazioni) e hanno sempre rappresentato la via di salvezza nei periodi di carestia per moltissime famiglie che con enormi sacrifici di tempo e lavoro hanno consentito di farli arrivare fino ad oggi. Un aspetto testimoniale che va salvaguardato e non compromesso con adeguamenti insostenibili per i concessionari (per di più contrari al mantenimento di tradizionali tipologie costruttive e, quindi, deturpanti per il paesaggio) o, peggio, eliminandoli. Per questo chiediamo se ci siano atti deliberativi di qualche ente tenuto ad esprimersi in merito alla sostenibilità di tali strutture, come ad esempio il Parco del Delta del Po o se si tratti di un ritardo delle Regione Emilia-Romagna nel rilascio delle Concessione”.
Storica battaglia dei repubblicani di Ravenna, quella per i capanni da pesca, ora rischia di diventare una questione anche identitaria, come spiega ancora Fusignani: “Il regolamento licenziato, concordato con le stesse associazioni di capannisti, è la prova della volontà di attuare una condivisione nella tutela dei capanni e nella salvaguardia del patrimonio ambientale. Un lavoro intenso e di confronto la cui sintesi è il massimo risultato che si potesse ottenere. Tuttavia, questo importante lavoro rischia di essere messo in discussione dal permanere di quanto previsto dal Regio decreto del 25 Aprile 1904, la n°523 “Testo unico delle opere idrauliche” che ostacola ogni iniziativa e solo in Parlamento può essere modificata. Per questo credo che sia necessario un’azione della politica locale affinché il Parlamento ponga mano ad una legge che superi l’ultrasecolare decreto, lasciando maggiori margini d’intervento alle amministrazioni locali. Un’azione che dovrebbe vedere anche il coinvolgimento della nostra Regione, sempre attenta alle istanze del territorio, non solo affiancando l’amministrazione, ma chiedendole di mettere al primo punto la soluzione di questo problema vecchio ormai di oltre cinquanta anni e, magari, partendo proprio da quanto è nelle sue prerogative come attuare in tempi rapidi una revisione della legge sulla pesca”.